La geoingegneria, cioè l'insieme delle tecniche di manipolazione dell'ambiente fisico dirette a contrastare i cambiamenti climatici, conquista investimenti e spazio nell'agenda pubblica. Ma finora nessuno è ancora in grado di fare previsioni sugli effetti di queste controverse tecnologie.
Manipolare l'ambiente fisico per contrastare i cambiamenti climatici. È questo il fine delle tecnologie che vanno sotto il nome di geoingegneria. Dalla fertilizzazione oceanica per aumentare l'assorbimento di CO2 - come nel caso del progetto LOHAFEX, che prevede la dispersione di enormi quantità di solfato di ferro in mare aperto - all'immissione di zolfo nella stratosfera per manipolare la radiazione solare e ridurre la temperatura della terra, proposta dal premio nobel Paul Crutzen.
In realtà, questa è una definizione parziale, perché la geoingegneria ha anche applicazioni militari. Secondo il Guardian, almeno quattro paesi - Stati Uniti, Russia, Cina e Israele – sono già in grado di modificare gli eventi atmosferici e geologici, dalle inondazioni ai terremoti, per operazioni militari, rispetto alle quali energia e ambiente rappresentano solo obiettivi secondari.
Nel 2010 i partecipanti al Convegno sulla Diversità Biologica di Nagoya adottarono una moratoria sulle attività di geoingegneria, con l'unica eccezione degli studi scientifici su piccola scala. Oggi, anche per la reticenza dei governi ad assumere impegni seri rispetto alle strade tradizionali per contrastare il cambiamento climatico - basti pensare alla battaglia di Cina e Stati Uniti contro l'estensione ai traffici aerei del sistema di scambio delle emissioni ETS o al controverso percorso di adozione della direttiva europea sul risparmio energetico -, queste tecnologie sembrano a molti una risposta praticabile in alternativa alle soluzioni classiche. In occasione del summit Rio+20 di giugno, le potenze mondiali potrebbero quindi riconsiderare il proprio giudizio su queste proposte.
A beneficiarne sarebbero innanzitutto una serie di multimilionari che stanno investendo nel settore. Tra i nomi più noti, il fondatore di Microsoft Bill Gates, che sta finanziando una start up attiva nella tecnologia della cattura e dello stoccaggio di anidride carbonica, la Carbon Engineering Ltd, e l'istituto di ricerca Fund for innovative climate and energy research. Istituto, quest'ultimo, che a sua volta ha già co-finanziato tre importanti studi sulla geoingegneria, tutti pronunciatisi a favore della sperimentazione. Una coincidenza che non è sfuggita a Greenpeace, che ha denunciato un possibile conflitto di interesse.
L'adesione a questi progetti non è però scontata: la geoingegneria suscita serie perplessità, nel metodo quanto nel merito. A un primo livello, è un approccio che ripropone quella visione reificata della terra, come oggetto da piegare ai nostri fini, che ha accompagnato e accompagna ogni scelta di cui oggi paghiamo le conseguenze. L'idea è insomma che si possa continuare a vivere come si è sempre fatto, dal modello di sviluppo generale alle abitudini individuali, ed esplorare tecniche artificiali che ci consentano di contenere gli impatti che provochiamo sull'ambiente senza mai andare alle cause dei problemi.
L'altro aspetto di preoccupazione riguarda gli impatti ambientali che le stesse tecnologie potrebbero generare. Per i fautori della geoingegneria i rischi sono seri, ma non agire lo sarebbe altrettanto, come dichiarato recentemente dal presidente della Carbon Engineering Ltd David Keith. Secondo parte della comunità scientifica, invece, la nostra conoscenza del clima non è tale da permetterci di prevedere gli effetti della sperimentazione su vasta scala della geoingegneria. Alla conferenza sul clima di Durban, ad esempio, la Royal Society britannica ha sostenuto in un rapporto che questi interventi dovrebbero valere solo come soluzione estrema e si tratterebbe comunque di una soluzione pericolosa.
Nell'ambito della teoria del complotto sulle scie chimiche si afferma che tali presunte scie siano il frutto di operazioni di geoingegneria.
Nessuno può dire se valga la pena correre questi rischi. Quel che sappiamo, però, è che le alternative esistono. Ricerche e risorse possono essere indirizzate verso progetti di efficienza energetica e mobilità sostenibile, per la riforestazione come per un impiego attento delle fonti rinnovabili. È questione di scelta: tra il fascino di soluzioni futuristiche presunte miracolose, dietro cui può nascondersi anche chi cerca solo nuove occasioni di profitto, e la responsabilità di seguire la strada più lenta e faticosa, ma forse più sicura.
fonte: http://www.ilcambiamento.it/clima/geoingegneria_bacchetta_magica_contro_cambiamenti_climatici.html
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